Oggi il tempo libero è un concetto consolidato nella nostra cultura. Tanto ambito e prezioso, quanto difficile da organizzare: lo si desidera per poter svolgere le proprie attività preferite e per potersi riposare dopo aver svolto i propri doveri, così da ricaricare le energie. In quanto essenziale per una vita salutare, il diritto allo svago e al riposo è uno dei diritti umani, che figura all’articolo 24 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani adottata dall’ONU.
Prima di arrivare alla nostra attuale definizione di tempo libero, però, bisogna fare un lungo percorso che parte dall’antichità greca e romana, in cui esistevano concezioni di svago completamente opposte a quella attuale, così come era diverso il rapporto di queste con il lavoro. Bisogna passare per veri e propri scontri tra diverse ideologie e linee di pensiero per arrivare fino a oggi; scontri che hanno reso travagliata la nascita dello svago come lo conosciamo noi, per non parlare della sua legittimazione.
La prima concezione di tempo libero venne elaborata dagli antichi Greci, i quali, con la parola σχολή (scholḗ), indicavano quel tempo speso per le attività disinteressate come la lettura, lo studio, la meditazione filosofica e la partecipazione agli spettacoli teatrali e ai giochi sportivi. Queste attività erano ritenute disinteressate in quanto non avevano altro fine all’infuori dell’arricchimento culturale e della conoscenza teoretica, cioè senza interessi pratici. Come scrisse Virgilio nelle Bucoliche: “I filosofi dell’antichità insegnavano il disprezzo per il lavoro, degradazione dell’uomo libero; i poeti cantavano l’ozio, dono degli dei”.
Gli antichi Romani usavano la parola otium per indicare lo stesso concetto, che quindi designava il tempo dedicato alla saggezza e alla cura di sé. Oltre allo studio (otium litteratum) si praticava anche l’esercizio fisico, in linea con il principio della mens sana in corpore sano. L’otium era poi l’opposto del negotium, ossia il tempo dedicato al lavoro, agli “affari”, a tutte le attività volte al guadagno.
Sia la società greca che quella romana in età repubblicana ritenevano più importante l’otium del negotium, e cioè la ricchezza spirituale anziché quella materiale. Dal momento che conferiva sapienza e saggezza, l’otium era una vera e propria virtù. È esemplare l’opinione di Catone il Vecchio: “Dagli uomini grandi ci si aspetta che sia grande non solo il loro modo di esercitare negotia, ma anche quello di comportarsi negli otia”. Bisogna però precisare che l’otium era un privilegio delle classi aristocratiche e delle più alte cariche politiche, mentre per gli schiavi e per le persone più povere era possibile occuparsi solo del lavoro manuale.
Ad ogni modo, le conoscenze acquisite grazie al tempo di otium dovevano poi essere trasformate in competenze da impiegare nella vita politica al fine di migliorare la comunità. L’impero romano, infatti, cominciò a decadere proprio quando cominciò a venire meno la società fondata sull’otium, in favore di quella basata sul negotium e, quindi, orientata unicamente verso la ricchezza materiale, come la conquista di nuovi territori.
Da questo punto, inizia un percorso in discesa per la concezione romana di tempo libero. Nel Medioevo, con l’avvento dei nuovi pensatori cristiani, l’otium venne fortemente criticato: a meno che non venisse speso per la sola meditazione religiosa, esso passò a costituire un peccato, ovvero l’accidia, o acedia, uno dei sette peccati capitali che consiste nell’improduttività, nell’immobilità di fronte ai propri doveri, e che sfocia in un atteggiamento di noia e malinconia che, per il Cristianesimo, distoglieva dalla vita contemplativa.
A dimostrazione del fatto che questo nuovo concetto divenne subito rilevante, il poeta Francesco Petrarca, nei suoi scritti, ammise di sentirsene afflitto. Nel Secretum, egli si confessa in un dialogo con sant’Agostino (suo maestro ed esempio di vita), che, non a caso, è uno dei maggiori filosofi cristiani. Petrarca spiega così la sua condizione: “Questo male mi prende talvolta così tenacemente, da tormentarmi nelle sue strette giorno e notte; e allora la mia giornata non ha più per me luce né vita, ma è come notte d’inferno e acerbissima morte”.
Inoltre, nel Medioevo, iniziò il fenomeno – destinato a protrarsi nel corso della storia – dell’ascesa della borghesia, la quale, con i suoi valori completamente indirizzati alla sfera del lavoro (la crescita economica, l’intraprendenza, l’attenzione al risparmio, ecc.), si poneva in netto contrasto con qualsiasi tipo di otium, prediligendo su tutto l’attività lavorativa.
È quindi a causa della connotazione negativa sia cristiana sia borghese che il termine otium è arrivato nella nostra lingua come “ozio”, col significato di “inattività”, ed è passato a indicare un vizio anziché una virtù. Ma la storia del tempo libero è soltanto a metà e bisogna ancora vedere come continuerà il dibattito in epoca moderna.
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