
L’arte, in un’epoca tecnologicamente avanzata come la nostra, si trova ovunque. Per questo motivo essa è in grado di influenzarci: dato che ci circonda, non possiamo non subire l’influenza dei suoi messaggi. Questo solleva una questione importante: l’arte, attraverso le sue storie, dovrebbe dare insegnamenti etici? Dovrebbe mostrare sempre e solo i giusti valori morali? In poche parole, l’arte deve essere morale?
Si tratta di un interrogativo fondamentale se pensiamo che al giorno d’oggi sempre più opere d’arte sono anticonformiste, politicamente scorrette ed estreme nei loro contenuti (tanto da poter essere considerate “immorali”) Tra le tante opere di questo tipo, se ne può citare una che è probabilmente l’esempio più rappresentativo: parliamo del film Arancia meccanica di Stanley Kubrick.
Il film racconta la storia di Alex DeLarge, ragazzo a capo di una banda di “drughi”, giovani che nel tempo libero si dedicano alla cosiddetta “ultraviolenza”. Essi sono soliti infiltrarsi nelle case altrui e commettere violenze di ogni tipo per il solo gusto di farlo. Il film, di conseguenza, mostra queste violenze in modo molto esplicito, ma la caratteristica più controversa è un’altra: dato che Alex adora la musica di Beethoven, ogni scena violenta è accompagnata da un brano del compositore tedesco, e oltre a ciò sono presenti diverse opere d’arte (quadri e sculture) nelle case dei malcapitati durante le scene più crude. Questo vuol dire che il film, di fatto, compie un’estetizzazione della violenza, nel senso che essa viene resa bella attraverso il medium artistico, come se fosse anch’essa arte. Come dovremmo comportarci di fronte a ciò? Dovremmo condannare il film tacciandolo di immoralità?
In realtà non è questo l’atteggiamento corretto. L’arte, per definizione, è un’attività disinteressata che ha lo scopo di suscitare emozioni e di evocare il Bello. Il Bello è ciò che rende l’opera d’arte un’opera d’arte, ossia quella sensazione estetica che caratterizza ogni opera e che fa comprendere la sua portata artistica. Il Bello, però, è qualcosa di spirituale: non si tratta di una cosa bella nel senso di attraente. L’arte, infatti, può anche tematizzare il brutto e suscitare emozioni spiacevoli come tristezza o paura, senza per questo smettere di essere arte.
Questo lo aveva già capito Oscar Wilde, uno dei maggiori esponenti dell’Estetismo. L’Estetismo è quella corrente letteraria del secondo Ottocento che dichiarava apertamente l’indipendenza dell’arte dalla morale. L’arte era concepita come disciplina autonoma svincolata da qualsivoglia finalità estrinseca, come appunto l’insegnamento morale. L’Estetismo riprende il principio dell’ars gratia artis, cioè “l’arte per l’arte”, l’arte come pura esteticità che basta a sé stessa. Come diceva Wilde, “non esistono libri morali o immorali, esistono solo libri scritti bene o scritti male”.
Wilde scrive Il ritratto di Dorian Gray, un’opera simbolo dell’Estetismo che all’epoca fece scandalo. Dorian Gray è un dandy, una persona che vive la sua vita come se fosse un’opera d’arte, andando alla ricerca di esperienze nuove e intense all’insegna dell’edonismo. Dopo che un amico gli fa un ritratto perfetto, Dorian esprime il desiderio di trasferire i segni della sua vecchiaia sul dipinto così da restare sempre giovane. Quando il quadro si deteriora sempre di più a causa delle sue azioni immorali, Dorian inizia ad essere tormentato dall’ansia e dall’orrore per ciò che ha commesso finché non decide di distruggere il quadro. Così facendo, però, Dorian muore e il quadro torna ad essere perfetto.
Si tratta di una storia ben lontana da quelle dei romanzi naturalisti e veristi, i quali avevano uno scopo preciso: la denuncia delle ingiustizie subite dai ceti più bassi della società. Nel romanzo di Wilde si racconta semplicemente di un personaggio ossessionato dalla bellezza e dal piacere. È vero che il finale potrebbe essere interpretato come una morale (le cattive azioni ti si ritorcono contro), il che sarebbe in contraddizione coi principi dell’Estetismo, ma a ben vedere esso può anche essere concepito come il trionfo dell’immoralità, talmente potente da uccidere lo stesso Dorian Gray che l’ha generata.
Alla luce dell’insegnamento di Wilde e dell’Estetismo, si può quindi rispondere che l’arte non deve per forza essere morale. Ma è possibile usare anche un altro argomento, che serve a giustificare l’estetizzazione della violenza attuata da Arancia meccanica. Per fare ciò bisogna comprendere il senso del film.
La storia di Alex continua con il suo arresto, a seguito del quale lo Stato lo sottopone alla cura Ludovico, finalizzata a rimuovere i pensieri violenti dei criminali. Essa consiste nella visione ininterrotta di immagini e video di violenza finché queste non diventano insostenibili per il ribrezzo che provocano. Dopo la cura, infatti, Alex non riesce più a commettere violenza perché la associa al disgusto instillato dalla cura. Inoltre, dato che durante i video violenti si sentiva in sottofondo la musica di Beethoven, Alex prova disgusto anche per quella e non riesce più ad ascoltarla senza impazzire.
Ora, il significato di tutto questo si può comprendere – come è stato esposto da diversi critici – riprendendo la filosofia di Nietzsche, in particolare il dualismo tra apollineo e dionisiaco. Lo spirito apollineo è la componente razionale dell’uomo, mentre lo spirito dionisiaco è la componente istintuale. Il dionisiaco è quindi responsabile degli impulsi quali la violenza, e tramite la cura Ludovico lo Stato vuole imporre ad Alex il solo spirito apollineo. Lo spirito dionisiaco, però, genera anche l’arte (che per Nietzsche è unione di apollineo e dionisiaco) e infatti, come effetto collaterale della cura, Alex non riesce più ad ascoltare l’arte di Beethoven, ossia la musica classica: reprimendo gli istinti, si reprime anche l’arte. Questo dimostra che arte e istinti sono legati indissolubilmente, per cui l’arte può e deve risvegliare questi ultimi.
Per concludere, va da sé che, se l’arte deve parlare agli istinti più reconditi, non può preoccuparsi della morale, che è un fatto puramente razionale. In questo modo si può rispondere alla nostra domanda, dimostrando che l’arte non segue le regole della morale e che quindi tutto è lecito in campo artistico, almeno finché resta nel campo artistico. Infatti l’estetizzazione della violenza, in ultima analisi, è benefica in quanto porta alla catarsi: vivere la violenza per finta permette di eliminarne il desiderio reale.
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