
COME VIENE RAPPRESENTATO IL CONSUMISMO NEL CINEMA
Il cinema è solo una delle diverse arti che prendendo spunto dalla realtà raccontando storie più o meno inventate, alle volte però queste opere rappresentano vere e proprie critiche alla società nella quale i registi o gli sceneggiatori vivono e al giorno d’oggi uno dei temi più dibattuti è il consumismo, che in maniera velata o meno è stato al centro di diversi film diventati dei veri e propri capolavori. Tra questi film ne ho individuati 3 che con modalità e focus diversi esaminano il consumismo più spinto:
In ordine cronologico il primo ad essere uscito tra questi è “Citizen Kane” (conosciuto in Italia come “quarto potere”), opera magna del visionario chiamato George Orson Welles, regista che nella prima metà del 900 affronta un consumismo ancora acerbo. La storia narra le vicende di un intervistatore che tenta di realizzare un documentario sulla immensa vita di Kane, lo scapestrato direttore di un giornale avuto in eredità da giovane, divenuto uno degli uomini più ricchi e influenti del paese oltre al colosso della comunicazione locale; infatti, quest’uomo è la rappresentazione di chi sulla carta ha tutto, ma che rimasto solo al mondo tenta di colmare il suo vuoto interiore affermando la sua imponente e ingombrante figura. Kane rimasto vittima della società aristocratica dell’epoca sviluppa un ossessivo e compulsivo bisogno di comprare quantità industriali di beni, verso i quali però non prova alcun interesse, oltre al desiderio di venir percepito come l’uomo con le proprietà più grandi, la donna più bella, l’opera d’arte più famosa e l’animale più esotico. Solo in punto di morte capirà la futilità di tutti quei beni preziosi che non gli hanno mai realmente portato la felicità.
Nel 1988, in una società ben più improntata al capitalismo esce un altro capolavoro per la regia del maestro dell’horror John Carpenter intitolato “They Live”, tradotto letteralmente in italiano (“Essi vivono”). Questa opera dalle sfumature demenziali denuncia una società americana perfettamente riassunta da una frase dello stesso film,” essi vivono, noi dormiamo” pronunciata da un illuminato che ha capito il vero scopo di chi ha il controllo sui cosiddetti dormienti. Questa è la storia del più spietato indottrinamento materialista trasposto in un mondo fantascientifico, nella quale, tramite messaggi subliminali usati per addormentare la mente dei cittadini, i quali senza rendersene conto sono alla mercè di esseri alieni, riconoscibili solo con l’ausilio di occhiali speciali, che si sono impossessati della comunicazione e della pubblicità mondiale.
Tra queste l’ultima opera uscita è “Fight club”, girato nel 1999 da David Fincher. La fama ha portato questa pellicola ad essere fraintesa da molti, poiché ribalta il racconto classico dell’alienazione di un individuo, rappresentato da un giovane impiegato dedito al lavoro, single, benestante e con problemi di sonno, logorato dal suo meccanico lavoro, che, se sottoposto ad una lettura superficiale, sembra descrivere l’esatto opposto. La sua vita cambierà però drasticamente quando sarà costretto a trasferirsi a casa di un uomo misterioso che fabbrica sapone, senza regole né principi, conosciuto poco prima su un aereo. Una volta aver sposato la sua filosofia il protagonista, come una rinascita, guarisce da tutti i mali della sua vita, tra cui l’insonnia. Attraverso questo percorso di riscoperta di sé il film è la metafora della realizzazione di un singolo costretto a vivere in una società capitalista in cui ha l’illusione di rivedersi.
Il filo rosso che le unisce è chiaramente la rappresentazione del consumismo come un buco nero che divora indistintamente chiunque; tuttavia, la prospettiva nel corso degli anni è drasticamente cambiata; infatti, in “Citizen Kane” solo pochi eletti possono permettersi il lusso di perdersi nei soldi, mentre negli altri due è tutta la società ad essere travolta dalla smania del lavoro e dello sperpero in modo più passivo come in “They live” o da parte attiva come in “Fight club”, quest’ultimo però, figlio dei suoi tempi, non la condanna completamente poiché comprende il bisogno della regolarità delle mansioni senza le quali la società si bloccherebbe, pensiero ancora troppo distante per i film meno recenti.
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